martedì 1 settembre 2009

5. Altri modelli DD

In questo libro ho inteso descrivere un modello DD in modo il più possibile compiuto, che non si limita a disegnare l’assetto istituzionale del paese, ma indica le probabili connotazioni che verranno ad assumere tutti i più importanti settori della società, dalla scuola al lavoro, dall’informazione alla sicurezza, dal diritto alla giustizia, dalla famiglia alla singola persona. Il mio sforzo è stato volto a dare una risposta a domande del tipo: come sarà la società DD? In che cosa sarà diversa dalle attuali società DR? Perché il modello DD è migliore di quello DR? E poi, la DD è realizzabile nei grandi Stati? E come? Si concilia con le esigenze di globalizzazione? Come? Perché? Sotto questo aspetto, non mi risulta che vi sia in letteratura un’opera composta con lo stesso spirito e con le stesse intenzioni. Tra le opere a me note, ne ho selezionato due, che mi sembrano esprimere una discreta ampiezza di vedute e costituire dei validi tentativi di spiegare la DD, anche se non lo fanno nel modo esaustivo da me auspicato. La prima è un’opera collettiva (Schiavone et Alii, 1997), la seconda ha per autore George S. Sagi (1998).

5.1. Il modello «Schiavone»
Schiavone e Collaboratori (1997) immaginano un Mondo Unito, costituito da una miriade di comuni elettronici, ciascuno dei quali sarebbe autogovernato dall’Assemblea sovrana di tutti i cittadini adulti e da un Consiglio (l’organo esecutivo), i cui membri sarebbero designati dall’Assemblea stessa e assumerebbero incarichi “sempre temporanei [...], responsabili cioè soggetti a rendiconto e a verifica, revocabili durante lo stesso incarico, non rinnovabili” (p. 267). L’Assemblea avrebbe l’obbligo di riunirsi ogni una-due settimane “in un luogo adatto, che la possa contenere (salvo soluzioni telematiche); con un quorum o numero legale che potrebb’essere di un quinto degli aventi diritto, o anche meno [...]; con un ordine del giorno e progetti di delibera preparati dal Consiglio in modo analogo a quanto avveniva ad Atene...” (p. 267). Il Consiglio si potrebbe avvalere di organi tecnici e uffici per l’espletamento del lavoro amministrativo. Le aziende pubbliche (acqua, elettricità, gas, rifiuti, trasporti, scuola, sanità, viabilità, poste, telefoni, ecc.) dovrebbero essere di proprietà dello Stato e funzionare come “imprese autogestite” (p. 268), dove sia abolita la distinzione tra datori di lavoro e lavoratori (p. 317), in modo da realizzare un “socialismo di mercato” (p. 320). “Il significato più profondo dell’autogestione sta nel fatto che essa sancisce la fine della lotta di classe e dello sfruttamento capitalistico” (p. 334-5).
Dalle unità municipali di base si passerebbe ad unità più ampie ordinate a più livelli (province, regioni, piccoli Stati) “attraverso la delega” (p. 268). Il delegato agisce per conto dell’assemblea e a questa è tenuto a dar conto. “In ogni caso le decisioni delle assemblee dei delegati, le leggi e i decreti, sono sottoposte poi alla ratifica ed eventualmente all’emendamento delle assemblee di base; sì da risultare una decisione corale del popolo intero" (p. 270). Il Parlamento perderebbe la sua prerogativa di organo supremo e si ridurrebbe ad una semplice assemblea di delegati avente potere legislativo (p. 271). Il Consiglio centrale, che sarebbe un’emanazione del Parlamento, si articolerebbe in un certo numero di ministeri, anch’essi organizzati in imprese autogestite.
Da questo quadro politico scompaiono la burocrazia pubblica, il politico di professione, il partito politico e lo Stato. “Non v’è un presidente della repubblica, un capo dello stato; la dignità del popolo non soffre capi, il popolo intero è capo a se stesso” (p. 273).
Il nuovo mondo dovrebbe tendere al disarmo. E l’esercito? “Resterà, per qualche tempo, una forza internazionale di pace, possibilmente senz’armi; fino a che tutti i popoli abbiano maturato lo stesso rifiuto incondizionato della guerra, la stessa coscienza e volontà di pace” (p. 273-4). L’esigenza di difendersi indurrebbe ciascun piccolo Stato a confederarsi con altri piccoli Stati in modo che, unendo le rispettive forze, possano incutere timore a qualunque avversario.
È solo attraverso il federalismo che sarebbe “possibile conciliare l’autogoverno popolare, cioè la democrazia diretta e, quindi, il piccolo stato col cosmopolitismo, o meglio, con un ordine mondiale capace di garantire a ciascun uomo, in quanto tale, quei diritti che fino ad oggi i singoli stati hanno più o meno garantito ai propri cittadini” (p. 309). Bisognerà procedere, dunque, verso la realizzazione di una “federazione mondiale degli stati” (p. 314).

5.2. Il modello «Sagi»
Non meno interessante è il libro di Sagi (1998), che sintetizzo a grandi linee come segue. Sagi parte dall’assunto che gli uomini sono diversi in tutto tranne che per tre aspetti, la nascita, l’istinto di sopravvivenza e la morte (p. 8-11), ma anche per la loro naturale propensione a vivere in comunità (p. 67). L’uomo è sociale perché trae dal gruppo vantaggi per la propria sopravvivenza, ma allorché il gruppo si fa troppo esteso, e tale è il caso dello Stato, la situazione si complica. Lo Stato, infatti, può migliorare notevolmente le condizioni di vita delle persone (p. 25), ma può anche distribuire iniquamente le risorse, creando disparità sociali e condannando molte persone alla sofferenza e alla morte (p. 18). Per di più, oggi l’uomo possiede armi di distruzione di massa, talché la sua stessa vita, la vita di tutti gli uomini, non è più al sicuro in nessuno Stato (p. 48). Non solo gli Stati non offrono sicurezza, ma nemmeno tutelano in modo soddisfacente i diritti fondamentali di tutte le persone (p. 20). Ora, secondo Sagi, questo è ingiustificato, perché la terra dispone di risorse sufficienti a consentire una vita dignitosa a tutte le persone, a patto che vi sia un regime politico adeguato (passim).
Oggi, i sistemi politici avvantaggiano i gruppi d’interesse più potenti e meglio organizzati, come i partiti, i sindacati, le istituzioni e le imprese (p.34), e i leader badano più al proprio tornaconto che al bene comune (p.48) e minacciano di farsi guerra fra loro e distruggere il pianeta (p. 60). I nostri governi DR ci offrono queste prospettive e appaiono impotenti a migliorare le cose. Se si vogliono instaurare sulla terra condizioni di pace e creare benessere generale, ci vuole più democrazia, ma il principio di maggioranza e il diritto al voto non bastano a creare democrazia (64-5); bisogna dare il potere politico ai cittadini (p. 50), eliminare il divario di ricchezza fra le nazioni (p. 54), offrire a tutti pari opportunità e sviluppare appieno il capitale umano (p. 69-70), garantire a tutti una vita dignitosa e dare ai più meritevoli compensi adeguati alle loro capacità e al loro impegno (p. 68). La pace sociale sarà assicurata solo quando saranno soddisfatti i bisogni primari di tutti i membri (p. 73) e ciò sarà possibile solo con la DD. In un sistema DD, il potere decisionale viene esercitato attraverso la concertazione di molteplici gruppi di discussione, che si avvalgano dei più moderni mezzi di comunicazione elettronica (p. 78), e degli organi costituzionali, come il Parlamento e il Presidente (p. 81).

Le proposte di Schiavone e Sagi appaiono particolarmente interessanti se non altro perché rappresentano una valida alternativa agli attuali sistemi DR e perché offrono spunti su cui costruire una bozza di Costituzione DD, ma non ci fanno vedere come cambierebbe realmente la vita delle persone una volta che la DD fosse stata realizzata. Ebbene, secondo me, una teoria della DD non deve limitarsi a descrivere l’assetto politico e i principi ideologici generali del nuovo sistema, ma deve anche spiegare a quelle stesse persone, alle quali poi si chiederà di partecipare all’autogoverno, come cambierà realmente la società, in modo che possano decidere se vale la pena di lottare per la «rivoluzione». Il presente libro intende colmare questa lacuna e offrire al lettore degli spunti di riflessione e di dibattito sui principali temi sociopolitici che lo riguardano.

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