martedì 1 settembre 2009

7. Perché credere nella DD?

Ora che conosciamo i princìpi ispiratori della DD possiamo chiederci se vale la pena di crederci o meno.
In pratica, possono credere nella DD solo quanti si sentano insoddisfatti della DR e siano disposti ad accordare fiducia nel cittadino comune e a servirsi massicciamente della tecnologia. Ma perché dovrebbero fare ciò?

7.1. Siamo in buona compagnia
Un’altra, sia pur debole, ragione potrebbe essere rappresentata dalla presa d’atto che esistono alcuni intellettuali di valore, pochi per la verità, che sembrano orientati nella medesima direzione. Secondo D. Held, “Una democrazia non potrebbe chiamarsi propriamente tale se i suoi cittadini non avessero il reale potere di essere attivi. E questo potere si determina quando i cittadini sono in grado di godere di una quantità di diritti che gli permettano di produrre una partecipazione democratica” (1997: 437). Anthony Giddens crede che un giorno i governanti dovranno rendere conto del loro operato al popolo, esattamente come facevano gli antichi ateniesi: “Non ci si può automaticamente fidare che gli esperti sappiano cosa è bene per noi, né che essi ci possano sempre fornire verità non ambigue; devono essere chiamati a giustificare le loro conclusioni e le loro politiche sottoponendole al minuzioso esame del pubblico” (2000: 67). M. Bookchin vagheggia una democrazia “che assegna al popolo la piena facoltà di determinare il destino della società” (1993: 37).
Un altro autorevole personaggio che possiamo annoverare tra i fautori della DD è Giorgio Sola, il quale, in un interessante libro, tratta di tre diversi sistemi politici, chiamati Paradigmi, che si sarebbero affermati nel corso dei secoli e continuerebbero a contendersi il campo anche al giorno d’oggi: il “paradigma del potere”, che si fonda sui rapporti di forza fra gruppi che lottano per la conquista del potere, e corrisponde ai sistemi autocratici; “il paradigma dello Stato” o delle Istituzioni, che si articola intorno alla struttura governativo-burocratica e alle sue istituzioni, e corrisponde alla DR; il “paradigma dell’attore”, che si fonda sull’individuo, e corrisponde alla DD. In questa sede mi interessa principalmente far notare che il paradigma dell’attore è presentato da Sola come un’alternativa esistente e possibile, sia pur minoritaria, dunque non come una semplice utopia, ma come un’opzione reale, che esiste da lunghissimo tempo, ma che, rilanciata dal pensiero comportamentista, ha acquistato rilevanza solo nell’ultimo mezzo secolo, (2005: 63). Si tratta di voci che gridano nel deserto? Forse, ma sono sufficienti a tenere acceso il fuoco della speranza.
Thomas Jefferson ebbe a sostenere: “Non conosco depositario di potere affidabile tanto quanto il popolo stesso. Se la popolazione non è considerata abbastanza illuminata da governare con giudizio integerrimo, non si dovrà impedirle di farlo, ma glielo si dovrà insegnare” (in GROSSMAN 1997: 11). Questa è la fede democratica: credere nel popolo e avere fiducia nel cittadino. Non c’è alcuna ragione per cui non possiamo condividerla. E questo rappresenta un altro valido motivo di speranza.

7.2. Non dimentichiamo la tecnologia
Un ulteriore elemento di ottimismo è la consapevolezza che oggi, per la prima volta nella storia dell’umanità, disponiamo della tecnologia necessaria all’attuazione della rivoluzione democratica, anche nei grandi Stati. Oggi è possibile realizzare una Nuova Atene, senza schiavi, dove tutti siano chiamati a partecipare direttamente alla vita pubblica. Ad affermarlo è Stefano Rodotà: “È tecnicamente possibile consentire ai cittadini di accedere direttamente a banche dati locali e nazionali che diano loro informazioni sui bilanci dello Stato, di enti territoriali, di enti pubblici; su delibere e proposte, e sul loro stato di avanzamento; su gare d’appalto, appalti concessi, bandi di concorso e relativi svolgimenti, piani regolatori e concessioni edilizie, finanziamenti a imprese e associazioni; su situazioni ambientali, su flussi di traffico; e così via. Diventa possibile seguire l’iter di una decisione e controllare la correttezza di atti e procedure amministrative” (1999: 262). I segnali più concreti e convincenti, che procedono in questa direzione, vengono dagli Stati Uniti d’America, che da oltre duecento anni costituiscono il punto di riferimento per l’ideale democratico, così come lo fu Atene nei tempi antichi. Ebbene, a detta di Lawrence K. Grossman, presidente della Horizons Cable Network, negli Stati Uniti si stanno concretizzando, grazie soprattutto alla rivoluzione elettronica, le condizioni tecniche necessarie per il passaggio dalla democrazia rappresentativa a quella diretta: “Alle soglie del ventunesimo secolo, il paese si sta trasformando in una repubblica elettronica, in un sistema democratico nel quale l’opinione della gente comune influenza sempre di più, giorno per giorno, le decisioni dello stato” (1997: 7).
Fede e tecnologia: sono questi i germi da cui può nascere la speranza nella democrazia partecipativa, come sistema politico concretamente attuabile. Oggi la democrazia è qualcosa che non possiamo avere, ma che non possiamo smettere di desiderare: così scriveva John Dunn tempo fa (1995: 248). A distanza di venti anni, mi sento di affermare che la democrazia, nel senso di DD, non solo è desiderabile, ma è anche realizzabile, e non mi resta che formulare l’augurio che questi germi possano propagarsi al più presto e gettare radici profonde in ogni angolo del pianeta.

Nessun commento:

Posta un commento